Qui Giulio Romano mise lo zampino

Da più di mille anni è un immutabile punto di riferimento della città di Reggio Emilia.  La basilica di San Prospero, splendida quinta scenografica della “Piazza Piccola”, luogo di mercato fin dal Medioevo e di memoria dell’intera collettività, custodisce le reliquie del Vescovo Prospero, il santo protettore della città. Sul lato meridionale della facciata sorge una torre campanaria di non poco conto, che vanta la  paternità di Giulio Romano. “La firma” del grande artista è stata provata dai contributi scientifici di Bruno Adorni ed Elio Monducci.

L’allievo di Raffaello non si è soltanto limitato a dare un suggerimento tecnico – come avevano fatto supporre la successione degli ordini, le cornici scolpite, le nicchie con le conchiglie -, ma ha fornito ai costruttori un progetto di massima sulle caratteristiche della torre campanaria.

La costruzione del Campanile fu realizzata da una famiglia di imprenditori edili, i Pacchioni, i quali applicarono le loro esperienze tecniche seguendo il progetto di Giulio Romano. Quello che non sappiamo è se sia stato realizzato dall’allievo di Raffaello, un modello ligneo o se sono stati affidati ai costruttori soltanto dei disegni. L’ipotesi più probabile, secondo lo storico dell’arte Massimo Mussini, è che Giulio Romano abbia consegnato un disegno, dal quale è stato realizzato un modellino da tenere in cantiere.

L’artista quando iniziò a occuparsi del campanile di San Prospero stava riscuotendo successo in Emilia: tra la fine degli anni trenta e gli inizi degli anni quaranta del Cinquecento fu chiamato a Ferrara a lavorare nel palazzo ducale, a Parma subentrò al Parmigianino  nella decorazione dell’abside della Steccata, a Modena realizzò il disegno per la tomba di Rangoni. Secondo lo storico dell’arte Bruno Adorni anche il progetto della facciata del duomo di Reggio Emilia è da attribuire a Giulio Romano, sulla base di una serie di ragioni stilistiche e di un disegno della cattedrale, conservato a Monaco. Questo disegno infatti, se sovrapposto a una fotografia della facciata del duomo mostra importanti affinità.  Possiamo quindi ritenere possibile che nel 1544 , il Clemente, Prospero Sogari, al quale fu affidata la realizzazione della facciata marmorea del duomo, lavorò seguendo un disegno di Giulio Romano.

Negli stessi anni a Reggio è stato realizzato il chiostro grande di San Pietro, che vanta una forma straordinaria e per ragioni stilistiche può portare soltanto la firma di Giulio Romano, l’unico in Emilia a quei tempi capace di progettare in quel modo. Oltre agli esempi appena citati varie sono le ragioni che portano ad attribuire anche la Torre di San Prospero a un progetto giuliesco.

Il grande campanile, impostato su una pianta ottagonale,  è rivestito in biancone di Verona e arenaria dell’Appennino reggiano. Il marmo dalla città scaligera veniva trasportato lungo l’Adige e il Po su barconi e arrivava al porto di Guastalla o di Reggiolo. Da qui i blocchi venivano collocati su chiatte che risalivano attraverso un canale navigabile fin dentro la città, mentre da Guastalla venivano trasportati su carri. I costi ovviamente erano altissimi! La costruzione della Torre fu finanziata in parte dalla contribuzione della comunità dell’intera città e in parte da donatori privati, dalle famiglie più ricche, che traevano dei benefici nel pagare una parte dei lavori perché riuscivano così ad avere il diritto per costruire una cappella all’interno della basilica dove seppellire i propri morti. In quell’epoca c’erano chiese che erano ritenute più importanti di altre per la sepoltura, in quanto si credeva che la presenza delle reliquie di un santo o il prestigio del parroco potessero garantire suffragi più cospicui per la vita eterna. Aspirazioni ancor più motivate nel caso della basilica di san Prospero che accoglieva le spoglie del patrono della città.

Una torre interessante non solo per lo spazio in cui è collocata,  per la sua forma, per le sue caratteristiche, ma soprattutto perché insieme alla Basilica di San Prospero introduce nella città  il nuovo linguaggio cinquecentesco, diventando per Reggio il cantiere del rinnovamento artistico.

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