Anisetta Cocchi, la storia del liquore reggiano continua…

Parte II

Continuiamo la storia del liquore tipico reggiano riportato a nuova vita da Gigi Cavalli Cocchi.

Anisetta Cocchi, cos’è? Come viene prodotta?

“Come ti dicevo non viene più prodotta direttamente da noi, dopo l’interruzione alla fine degli anni ‘80. Ma da una distilleria triestina a cui noi abbiamo rilevato il procedimento contenuto nel “Libbro delle Dosse”, che il mio antenato Francesco Cocchi ereditò da uno speziale svizzero che lavorava nel Ducato di Sassuolo. Gli ingredienti fondamentali sono l’Anice Stellato, i semi di Anice e i semi di Finocchio. Più c’è un ingrediente segreto, che viene tramandato di padre in figlio e che abbiamo dovuto rivelare alla distilleria che attualmente produce l’Anisetta Cocchi dietro rigidi accordi di riservatezza.

La cosa incredibile che il primo assaggio è stato deludente. Nonostante che l’avessero prodotta esattamente come si doveva, con tutti i procedimenti e le dosi giuste, aveva un sapore forte e un colore latteo invece che trasparente.

Mio padre, Ero Cavalli Cocchi, scoprì cos’era successo. In poco più di dieci anni le materie prime erano cambiate. Dieci chili di anice stellato del 1980 non avevamo più corrispondenza con gli stessi dieci chili dell’inizio degli anni 2000. La concentrazione delle essenze era completamente cambiata.

Questo ci ha portato a fare correzioni e di assaggio in assaggio, abbiamo ritrovato l’equilibrio giusto”.

Arrivavano in campioni da Trieste…

“Esatto! E mio padre assaggiava e segnava le correzioni da fare, le dosi la rivedere. E’ stata una grande soddisfazione ritrovare la nostra Anisetta. Soddisfazione che abbiamo condiviso con gli amanti della cucina reggiana. Marta Ferrari, mi ricordo, era felicissima. Ci invitò a casa sua per fare un vero e proprio test. Mise sul tavolo due bicchierini da liquore, del servito di famiglia. In uno versò l’Anisetta Meletti – la più diffusa in Italia – e nell’altro la Cocchi. Prima bevve la Maletti. Poi un sorso d’acqua e assaggiò la nostra. Allora si girò verso l’altra anisetta e ancora prima di parlare fece una faccia disgustata. Lì capimmo che avevamo riportato in vita un sapore tradizionale di Reggio Emilia, qualcosa che apparteneva alla città. Poco tempo dopo – si era un po’ sparsa la voce di questo ritorno – mi chiamò Nella Gianferrari la figlia del titolare del Caffè storico del Teatro Ariosto, e mi raccontò di quando Luigi Pirandello venne a Reggio per la rappresentazione di una sua opera. Dopo cena chiese di poter bere un’anisetta – la distillazione dell’anice era molto comune in Sicilia, dove cresce spontaneamente – allora, al Caffè dell’Ariosto gli venne offerta l’Anisetta Cocchi, e lui rimase impressionato dal suo gusto particolare e gentile”.

Esatto, un gusto gentile…

“Sì, non ti arriva immediatamente il gusto dell’alcool. La sensazione forte, da stordimento, che invece trovi in altri liquori simili. Nell’Anisetta Cocchi si sente il gusto dell’anice: è immediatamente gradevole, e solo dopo lascia una persistenza tipica di un liquore strutturato come questo, a gradazione alcolica importante. Come dicevamo, in un panorama italiano piuttosto povero di liquori del genere, la nostra Anisetta ha sicuramente un suo gusto particolare e la sua originalità. Gusto reggiano al cento per cento, ma che ha avuto nel corso della sua lunga storia anche premi e riconoscimenti sia in Italia che nel mondo”.

 

                                                                                                                       Nico Biagianti

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